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SAN MARINO INDIPENDENTE NELLA “NUOVA GUERRA FREDDA”

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San Marino è il terzo Stato più piccolo d’Europa, dopo il Vaticano e il Principato di Monaco, e il quinto a livello mondiale. La sua estensione territoriale, pari a poco più di 61 chilometri quadrati, è paragonabile a quella di un comune italiano di dimensioni medio-piccole: a titolo di confronto, si pensi che la Provincia di Trieste, la più piccola d’Italia, ha un’estensione di 212,51 chilometri quadrati, mentre il Comune di Milano raggiunge i 181,67 km². Il primo riconoscimento ufficiale di San Marino è avvenuto nel 1291, ma la sua indipendenza, secondo la tradizione, risalirebbe al lontano 366, anno in cui San Marino, fondatore di quella comunità sul Monte Titano che avrebbe costituito il primo nucleo della Serenissima Repubblica, in punto di morte avrebbe riunito i suoi discepoli dicendo loro: “Vi lascio liberi da entrambi gli uomini”. Questa frase, in seguito, avrebbe costituito la base legale del riconoscimento diplomatico della Repubblica del Titano da parte dello Stato Pontificio, il primo della sua storia pluricentenaria; e, sebbene siano stati successivamente espressi forti dubbi sulla loro effettiva pronunciai, la legittimità dell’indipendenza della Repubblica non è mai stata realmente messa in discussione.

Sono in tanti a conoscere il pittoresco centro storico di San Marino, nel 2008 riconosciuto dall’UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità, e le sue emissioni numismatiche e filateliche sono molto apprezzate dai collezionisti, ma la sua storia, e in particolare la sua vita politica, sono praticamente sconosciuti a nord di Rimini e a sud di Pesaro. Il peso di San Marino nella politica internazionale è quasi nullo, e la Repubblica non è mai sembrata particolarmente interessata ad accrescere la propria potenza. Pur avendo un esercito, il Paese non aderisce a nessun’alleanza militare, e l’ultimo conflitto che ha visto la partecipazione delle forze armate del Titano è stata la Guerra Sammarinese del 1460-63, al termine della quale il piccolo Stato ha raggiunto le sue dimensioni attuali. La politica estera di San Marino è stata quasi sempre orientata alla preservazione della propria indipendenza e al mantenimento di una certa autonomia nell’agire politico; questo, assieme al forte orgoglio patriottico della sua popolazione, contribuisce a spiegare come mai un Paese dalle dimensioni così ridotte possa vantare (almeno) sette secoli di storia, un miraggio per Stati anche molto più grandi e potenti. Si noti che si sono risolte in un fallimento entrambe le occupazioni a cui è stata soggetta la Repubblica del Titano, la prima ad opera del Duca di Romagna Cesare Borgia (il celebre Duca Valentino) agli inizi del Cinquecento, la seconda messa in atto dal Cardinale Giulio Alberoni, che nel 1739 cercò di annettere il territorio allo Stato Pontificio.

Ciò, tuttavia, non deve trarre in inganno: la natura dell’indipendenza di San Marino è stata spesso “finlandese”, come dimostrato da quanto avvenuto dopo l’Unità d’Italia. Nel 1849, a seguito del fallimento della Repubblica Romana, Giuseppe Garibaldi e i suoi uomini trovarono rifugio a Borgo Maggiore, ai piedi del Titano, e in cambio garantirono alla Repubblica il rispetto della sua indipendenza e supporto in caso di invasioni. Questo, probabilmente, ha avuto un ruolo determinante nel tracciare l’atteggiamento dello Stato Italiano verso San Marino, al punto che neanche i più esagitati tra gl’irredentisti hanno visto la Repubblica alla stregua di Trieste o Fiume; ma, malgrado ciò, l’influenza (e le ingerenze) da parte di Roma negli affari interni di San Marino non è mai venuta a mancare. Dal 1923 al 1943, al pari dell’Italia, anche il Titano fu retto da un regime fascista, e nel 1944, malgrado la sua neutralità, la Repubblica fu bersaglio di un bombardamento alleato. Nel Secondo Dopoguerra, e nello specifico tra il 1945 e il 1957, San Marino fu guidata da una serie di governi social-comunisti che vararono importanti riforme sociali e instaurarono rapporti amichevoli con l’Unione Sovietica, ma questa stagione sarebbe terminata bruscamente con la più grave ingerenza italiana negli affari sammarinesi della storia della piccola Repubblica.

Il contesto è quello dei Fatti di Rovereta, uno degli episodi chiave della storia contemporanea di San Marino e allo stesso tempo uno dei più controversi. La storia ufficiale parla di una maggioranza social-comunista che nel febbraio del 1957 smise di essere maggioranza, con la fuoriuscita di cinque consiglieri socialisti contrari al mantenimento dell’alleanza col PCS. Per alcuni mesi l’opposizione e la compagine governativa poterono contare ciascuna su 30 consiglieri, e, sebbene all’inizio i cinque dissidenti mantenessero una posizione intermedia, per il Titano la vita iniziò a farsi sempre più difficile. A settembre, poi, la fuoriuscita del comunista Attilio Giannini portò a un definitivo ribaltamento dei rapporti di forza, e questo proprio alla vigilia dell’elezione dei due nuovi Capitani Reggenti (le massime autorità della Repubblica). La nuova maggioranza cercò di dar vita a un nuovo governo, ma venne bloccata dalle lettere di dimissioni di trentaquattro consiglieri social-comunisti – firmate con la data in bianco al momento della loro elezione, a garanzia del rispetto delle direttive dei rispettivi partiti – e ciò spinse i Capitani Reggenti al potere, legati alla vecchia compagine governativa, a proclamare le elezioni anticipate. A questo punto, però, ci fu la reazione dell’opposizione divenuta maggioranza, che la sera del 30 settembre occupò un capannone abbandonato a Rovereta, nei pressi del confine italiano, e proclamò la nascita di un governo provvisorio, prontamente riconosciuto da Roma. Seguirono due settimane di grande tensione, con i sostenitori dei due governi che si dotarono di milizie armate; l’impasse fu superata solo col passo indietro della Reggenza, che acconsentì all’insediamento sul Titano del governo di Rovereta.

Dietro questa storia, già di per sé magmatica, ce n’è una ancora più torbida, fatta di corruzione e intrighi internazionali, che solo di recente ha iniziato a vedere la luce. Il golpe di Rovereta fu preceduto da mesi di febbrile attività diplomatica, durante la quale i futuri golpisti si assicurarono il sostegno degli Stati Uniti nel loro tentativo di dar vita a un governo privo dell’elemento comunistaii. Ancor più efficace fu però l’azione del governo italiano, alleato di quello USA e a guida democristiana, che mal tollerava la presenza di un’enclave rossa all’interno dei propri confini, peraltro incastonata in quelle che durante la Prima Repubblica erano le “Regioni rosse” (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche settentrionali). La sua azione, che combinava pressioni economiche, sostegni finanziari e logistici all’opposizione e tangenti ai membri della maggioranza (Giannini, ad esempio, fu convinto a passare dall’altra parte con una casa, un lavoro e tre fucili da cacciaiii) ebbe un ruolo determinante nel porre fine all’esperienza del socialismo in salsa sammarinese. In ogni caso, i fatti di Rovereta dimostrano i limiti a cui è sottoposta l’indipendenza di un piccolo Paese, specie se interamente racchiuso nel territorio di un altro Stato e privo di sbocchi sul mare, a maggior ragione in un contesto di forti tensioni internazionali.

Rovereta, per fortuna, appartiene a un’epoca storica ormai superata, e la transizione verso un sistema internazionale multipolare impone un passaggio dalla logica del bianco e nero a quella delle sfumature di grigio. L’Iran non è più il Grande Satana degli Stati Uniti, mentre il “sultano” Erdoğan non è propriamente il più affidabile degli alleati di Washington. Eppure, in un mondo in cui i retaggi storici hanno il loro peso e dove una piena multipolarità resta una meta lontana, la logica del “chi non è con noi è contro di noi” tipica della Guerra Fredda è ancora molto lontana dal soccombere, come dimostrano la crisi ucraina e il connesso clima di tensione tra Russia e Occidente. La “nuova Guerra Fredda” non è la Guerra Fredda, ma per San Marino, interamente circondato dall’Italia e legato a quest’ultima da un’unione doganale e monetaria (cosa che implica, da parte del Titano, l’adozione dell’euro e della politica doganale comunitariaiv) l’assunzione di una politica estera filorussa e magari apertamente antiatlantista sarebbe inconcepibile. Almeno nel prossimo futuro, quindi, è alquanto improbabile che San Marino firmi un accordo di libero scambio con l’Unione Eurasiatica o riconosca la Crimea come territorio russo.

Ciò, comunque, non implica che la Repubblica del Titano sia del tutto priva di spazi di autonomia, come è emerso proprio nel corso della crisi ucraina. Il 18 marzo del 2014, in occasione del referendum in Crimea, il Segretario di Stato per gli Affari Esteri Pasquale Valentini ha emesso un comunicato con cui esprimeva “disappunto” per il referendum in Crimea, affermando che lo stesso avveniva “in violazione della sovranità e dell’integrità territoriale ucraina” e legittimava un intervento militare da parte della Russiav. Ma, nella prassi, il governo sammarinese non è mai andato oltre. San Marino, infatti, non ha adottato le sanzioni europee contro la Russia, né ha preso posizione sulla Guerra nel Donbass, limitandosi ad auspicare un esito pacifico della crisi in corso, né infine ha adottato misure anti-aggiramento come ha fatto la Svizzera, le cui sanzioni prevedono l’obbligo di autorizzazione per i prestiti a lungo termine ai cinque istituti di credito russo a partecipazione statale, peraltro rilasciata solo se “l’aumento di capitale previsto non supera il valore nominale medio degli strumenti finanziari detenuti dal richiedente negli ultimi tre anni”, con una deroga per i rifinanziamentivi. Ad applicarsi, di default, sono quindi solo le sanzioni che prevedono il divieto di transazioni finanziarie in dollari o in euro. Di conseguenza, per il Titano, le opportunità sono tutt’altro che assenti.

Bisogna tuttavia premettere che per San Marino le tensioni tra Russia e Occidente non sono propriamente una buona notizia. A pagarne le spese è soprattutto il turismo, da sempre una delle maggiori voci della sua economia. Negli anni Duemila, al pari della vicina Romagna, anche San Marino ha iniziato a puntare molto sul mercato russo e a quello dei Paesi ex-sovietici. Il momento era estremamente favorevole, visti la congiuntura tra l’andamento positivo dell’economia russa, il progressivo rafforzamento dei rapporti tra la Russia e i principali Paesi europei (tra cui l’Italia) e la ben nota passione per il Bel Paese dei Russi e in generale dei cittadini ex-sovietici, e gli investimenti non hanno tardato a dare frutti. Oggi circa il 10% dei due milioni di turisti che ogni anno visitano San Marino viene dalla terra di Tolstoj, e per chi cerca lavoro nel turismo o nell’indotto la conoscenza della lingua di Puškin è ormai preferita a quella dell’idioma di Goethe, malgrado la Germania sia stata per anni la principale fucina di turisti stranieri della regione. Ciò ha dato vita anche a un indotto di servizi specializzati per turisti russi e a flussi di lavoratori, stagionali e non, dalla Russia e dagli altri Paesi ex-sovietici, al punto che oggi, per le strade di San Marino, non è strano imbattersi in camerieri o in commessi di madrelingua russa.

Negli ultimi due anni, però, i contraccolpi della crisi ucraina hanno raggiunto anche questa regione a cavallo tra l’Adriatico e i primi contrafforti dell’Appennino. La provincia di Rimini, nei primi otto mesi del 2015, ha visto i suoi arrivi dalla Russia diminuire del 52% (ben superiore al complessivo -11% di arrivi stranieri)vii, l’Aeroporto di Rimini – San Marino, che negli ultimi anni aveva puntato molto sui voli da Russia e Bielorussia, è rimasto fermo per diversi mesi rischiando la chiusura definitiva (e la sua posizione è messa ancora più a rischio dal recente acquisto dell’Aeroporto di Ancona da parte della società russa Novaportviii), e chi continua ad arrivare, complice la debolezza del rublo, fa vacanze più brevi e spende di meno, con buona pace di quegli operatori che parevano ormai piacevolmente assuefatti ai portafogli pieni dei Russi ricchi. E se la Riviera piange, il Titano non ride. A San Marino il turismo è di gran lunga meno legato all’elemento balneare rispetto alla pur vicina Riviera Romagnola, con tutti i benefici del caso (le località marittime, con l’eccezione di quelle di prestigio e di quelle situate in zone di particolare pregio naturalistico, trovano facilmente dei sostituti), e ciò le ha consentito di reggere molto meglio l’impatto della crisi, ma il calo è stato comunque vistoso: tra il 2013 e il 2014, infatti, gli arrivi dalla Russia hanno registrato un poco invidiabile -25,5%ix.

Per fortuna, però, c’è anche il rovescio della medaglia. Non aderendo alle sanzioni europee, San Marino può sfruttare sia le opportunità derivanti dall’aggiramento delle stesse (ad esempio per l’esportazione in Russia di alcune tecnologie per l’estrazione di petrolio e dei prodotti a doppio uso, di cui uno militare), sia quelle legate alla mancata applicazione dell’embargo alimentare russo adottato in risposta alle sanzioni occidentali. Sul primo fronte, tuttavia, le opportunità, almeno al momento, riguardano soprattutto alcuni territori d’oltremare dei Paesi europei, in primis le Isole Vergini Britannichex, mentre per San Marino le stesse sono piuttosto limitate, in quanto, non facendo parte del WTO, il Paese non beneficia della clausola della nazione più favorita, e dunque il trattamento daziario riservato alle merci sammarinesi non è il più basso tra quelli dei Paesi con cui non sono in vigore accordi di libero scambio o affinixi.

Ben diverso è il discorso valido per l’agricoltura e l’industria alimentare di San Marino, che ha potuto coprire alcune delle nicchie lasciate vuote dai prodotti europei messi al bando, in particolare nelle fasce medio-alte. Recentemente, ad esempio, le sammarinesi San Marino Salumi e SM Sales sono state le uniche società europee a partecipare alla fiera World Food, tenutasi a Mosca tra il 14 e il 17 settembre, che ha consentito loro di presentare i propri prodotti ai mercati dei Paesi dell’Unione Eurasiatica. Grazie all’esenzione dall’embargo alimentare, inoltre, il territorio di San Marino è stato usato anche per le riesportazioni in Russia dei prodotti europei soggetti allo stesso. Un’operazione, questa, che Mosca non vede di buon occhio, in quanto l’embargo alimentare, che colpisce soprattutto una categoria elettoralmente forte come gli agricoltori, è una delle maggiori armi di pressione della Russia nei confronti dell’Occidente. Si ricordi, sotto questo punto di vista, il ripristino dei controlli doganali al confine russo-bielorusso per frenare la riesportazione dei prodotti colpiti da embargo attraverso Minsk (che non aveva aderito allo stesso) mediante la semplice apposizione di un bollinoxii (celebre il caso del Parmigiano Reggiano made in Belarus…). San Marino, tuttavia, non è la Bielorussia, e non c’è da stupirsi se le logiche della politica internazionale spingano la Russia a tollerare queste triangolazioni finché il loro volume complessivo resta limitato.

Ciò rimanda nuovamente a un tema già affrontato in precedenza, ossia cosa significhi realmente essere un piccolo Stato in un panorama internazionale dominato dai grandi. Ed è proprio questo il tema al centro della seconda parte della conferenza La Russia e l’Europa: i problemi attuali del giornalismo internazionale moderno, tenutasi l’8 ottobre scorso presso l’Università di San Marino. Il Titano, come si è visto, occupa una posizione particolare all’interno del sistema politico internazionale: i suoi legami prioritari sono con Bruxelles, ma il Paese non fa parte dell’Unione Europea (e un recente referendum in tal senso, in cui il “sì” è riuscito a vincere solo grazie ai voti all’estero, è fallito per il mancato raggiungimento del quorumxiii), e quindi non è tenuta ad adottarne le direttive. Ciò assume un’importanza cruciale in momenti di tensione tra UE e Paesi terzi, come quello attuale con la Russia; e anche per questo, come ha affermato il Console Onorario di Russia in Emilia-Romagna Igor Pellicciari, “la sovranità di San Marino è più sentita a Mosca che a Roma”. Nelle relazioni economiche e in quelle internazionali, dopotutto, l’elemento umano e anche i sentimenti hanno un’importanza cruciale: Mosca, infatti, si è vista tagliata fuori dall’Occidente per un anno e mezzo, ossia tra il Referendum in Crimea del 16 marzo 2014 e il discorso di Putin alle Nazioni Unite del 28 settembre dell’anno in corso, e questo in un contesto in cui la Russia, erede de facto della Romanità d’Oriente, si percepisce, per così dire, come un Paese “diversamente occidentale”. E, anche per questo, è difficile che la gratitudine di Mosca verso San Marino si esaurisca nel chiudere un occhio sull’aggiramento (limitato) dell’embargo alimentare russo attraverso la Repubblica del Titano. Indicativi, sotto questo punto di vista, sono i rapporti con la Cina Popolare: San Marino, infatti, ha riconosciuto la Repubblica Popolare Cinese come unico rappresentante legittimo del fu Celeste Impero prima che questa assumesse il seggio all’ONU precedentemente occupato da Taiwan (o Repubblica di Cina), e oggi è l’unico Paese europeo i cui cittadini non hanno bisogno del visto turistico per visitare Pechino. E viceversa.

Cosa può fare, però, San Marino per risolvere la crisi in corso (seppure in fase di rientro) nel Paese di Gogol’? La risposta a questa domanda è arrivata da Michele Chiaruzzi, Ambasciatore di San Marino nella Bosnia-Erzegovina e Direttore del neonato Centro per le Relazioni Internazionali presso l’Università di San Marino. Un piccolo Stato, a detta di Chiaruzzi, “lavora affinché i canali siano costantemente aperti” e “afferma questa necessità da una posizione che nessun altro Stato ha, ossia quella di uno Stato ininfluente. Il piccolo Stato è neutrale per definizione, e quindi è al di sopra di ogni sospetto”. Va da sé che, come detto in precedenza, per San Marino una piena neutralità non sia completamente possibile: come ha affermato nel corso della stessa conferenza Epifanio Troina, Rappresentante di Ossezia del Sud e Abchazia presso San Marino, il Titano, pur mantenendo una politica economica e turistica multivettoriale, si caratterizza per una politica estera orientata sempre più in senso atlantista, pur affiancata da una politica economica e turistica multivettoriale. Una posizione che filtra leggendo alcuni degli articoli sulla crisi ucraina della TV di Stato di San Marino, più favorevoli a Kiev che a Mosca, le dichiarazioni di Valentini sul referendum in Crimea, non molto dissimili da quelle espresse da molti capi di Stato occidentali, o anche confrontando i rapporti di San Marino con il Kosovo da un lato e con Ossezia del Sud e Abchazia dall’altro: se nel primo caso abbiamo un riconoscimento formale, nei secondi soltanto relazioni informali. Ma, come si è già visto, l’economia mostra un’altra faccia della medaglia, non meno significativa, e il fatto che San Marino, al pari di Andorra e del Principato di Monaco e a differenza di Paesi quali Liechtenstein, Albania e Montenegro, abbia resistito alle pressioni occidentali sull’adozione delle sanzioni, è un chiaro indice del fatto che quella dei microstati che tengono aperti i canali non è solo retorica. Va ricordato, dopotutto, che anche dopo Rovereta il Titano si sia guardato bene dal rompere le relazioni con l’URSS instaurate dai precedenti governi social-comunisti per compiacere l’alleato di Oltreoceano, al punto che, nel 1979, il Cremlino e il Titano hanno sottoscritto un Accordo di Cooperazione Culturale tra i due Paesixiv. Il fatto che si parli di cooperazione “culturale” e non “politica” può essere interpretato come l’ennesima prova che quella di San Marino sia, di fatto, un’indipendenza “finlandese”; ma, come dimostra chiaramente l’esperienza della Finlandia nel Secondo Dopoguerra, ciò non è necessariamente qualcosa di negativo.

*Giuseppe Cappelluti è un assiduo collaboratore di Eurasia.

Quest’articolo utilizza il materiale della IV Conferenza Internazionale “La Russia e l’Europa: i problemi del giornalismo internazionale contemporaneo”, tenutasi a San Marino l’8 ottobre 2015.

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